Elena racconta: «I nostri bimbi non vanno a scuola ma stanno seguendo un percorso di apprendimento auto-diretto a casa, in cui noi genitori agiamo come mentori e facilitatori. Non abbiamo mai avuto televisione ma abbiamo una sovrabbondanza di libri. A gennaio 2016 abbiamo deciso di accettare la sfida a produrre la minor quantità di rifiuti domestici possibile, specialmente plastica. Abbiamo venduto la macchina e ci spostiamo soprattutto in bici: oltre alle nostre bici classiche abbiamo due bici cargo, una a pedalata assistita con il cassone davanti e due sedili per il trasporto dei bimbi, e una pieghevole con seggiolino posteriore allung ato per permetterci di muoverci anche caricando bimbi e bici in treno».
«Abbiamo venduto anche la nostra casa in Inghilterra per comprare un vecchio casolare con un grande giardino nella campagna modenese, vicino alla mia famiglia di origine. Mio marito sta terminando il suo contratto da ricercatore in elettrochimica e insieme vorremmo realizzare qualcosa che sia più in linea col nostro desiderio di connessione, tra di noi in famiglia e con l’ambiente naturale e sociale che ci circonda. Vorremmo restaurare il casale riducendone al minimo l’impatto ambientale soprattutto per quanto riguarda il riscaldamento dell’acqua e degli ambienti.” […]
«Ci piacerebbe trasformare il casolare in un piccolo centro culturale che promuova una maggiore consapevolezza ambientale, lo scambio linguistico e culturale che è nella storia della nostra famiglia, ma anche il recupero delle tradizioni di artigianato locale. In particolare, in Inghilterra mi sono appassionata all’arte della filatura e della tessitura, ancora molto vive nel mondo anglosassone, e mi piacerebbe far rivivere la tradizione locale della lavorazione della lana e soprattutto della canapa. L’idea di base però sarebbe quella di renderci il più possibile autosufficienti così da ridurre la nostra dipendenza dall’economia monetaria e dalla necessità di guadagnare. Servirà tempo e sarà un percorso in salita, ma siamo convinti che la semplicità volontaria sia la strada per la felicità. […]
La riflessione critica si è allargata a cascata. […]
La scelta di non iscrivere i nostri figli a scuola si inserisce in questo filone: il rifiuto di delegare e relegare l’educazione dei bambini in un ambiente istituzionalizzato, in cui cosa, come e quando si impara vengono decisi dall’alto. L’apprendimento auto-diretto che cerchiamo invece di incoraggiare è un’assunzione di responsabilità, un tentativo di favorire la liberazione delle energie fisiche, creative, emotive e spirituali dei bambini; è una scelta di fiducia nella loro innata capacità di di imparare, di rispetto delle loro inclinazioni, dei loro interessi e dei loro percorsi di maturazione individuali. John Holt è stato l’autore che più ci ha fatto riflettere sulla straordinaria capacità dei bambini di assorbire e rielaborare autonomamente le esperienze vissute; Ivan Illich e il documentario Schooling the World ci hanno rassicurato sulla validità di una scelta che molti etichettano come privatistica, ma che noi definiremmo più come rivoluzionaria. In fondo, per cambiare una cultura in una generazione basta cambiare il modo in cui sono educati i bambini».
Come si svolgono materialmente le vostre giornate? Quali difficoltà avete incontrato all’inizio e quali non avete ancora del tutto superato?
«Le nostre giornate si svolgono più o meno come si svolgerebbero le giornate estive di una famiglia in cui uno dei genitori è a casa. A volte si va fuori, per una passeggiata, un giro al parco, in biblioteca, in qualche museo, oppure alla fattoria didattica; a volte si resta a casa, ci si aiuta nelle faccende domestiche, si legge un libro (o due, o tre!). I bimbi hanno sempre a disposizione colori e fogli per disegnare, libri da sfogliare, qualche gioco, la palla, le bici, vestiti per travestirsi; le lezioni di nuoto e di violino e la spesa settimanale al mercato dei contadini sono gli unici impegni fissi, il resto dipende molto dall’umore e dal tempo atmosferico. Si parla senza censure di tutto quello che suscita la curiosità dei bambini: dalle elezioni di Trump alle abitudini alimentari degli antichi Romani, dall’estinzione dei dinosauri alla riproduzione sessuale. I bimbi vengono anche coinvolti, per quanto possibile, nelle nostre attività: cucinare, preparare la birra, filare e tessere, prenderci cura del giardino». […]
«La difficoltà maggiore è stata la mancanza di quel villaggio che il proverbio africano dice sia necessario per fare crescere un bambino. La solitudine e la mancanza di supporto esterno nei momenti di difficoltà, di crisi e di malattia hanno pesato molto soprattutto su di me, che ero le parte più attivamente coinvolta nella gestione domestica e dei bimbi. Siamo entrati in crisi anche come coppia, e ho fronteggiato l’abisso cupo della depressione post parto con l’ultimo bimbo. Abbiamo capito che dovevamo rivedere in profondità le nostre dinamiche famigliari, che non erano più adeguate ad accomodare le scelte che stavamo portando avanti: anche da qui è partita la decisione di rientrare in Italia, vicino a una delle due famiglie allargate, e avviare un progetto nuovo, insieme». […]
Un messaggio a chi dice: io non ce la farei mai.
«Lo pensavo anche io: bello, stupendo, ma io non ce la farei mai. La pensavo così anche quando ho ricominciato a correre dopo la nascita della mia seconda figlia: mio marito correva 21 km senza apparente sforzo e io ansimavo a percorrerne due. Quando mi sono accorta che, a forza di provare e riprovare, per quei due chilometri non ansimavo più, i chilometri sono diventati tre, poi cinque, poi otto, poi dieci. Quest’anno, incredula e soddisfatta, ho corso la mia prima mezza maratona. Si parte sempre su una distanza breve, una piccola scelta che ci sfidi a vivere più in linea con la vita che vorremmo. Pian piano la fatica scompare, non ci costa più come sembrava all’inizio: e allora si può fare qualcosa in più, aggiungere un altro chilometro. Le scelte, come le gambe, con un po’ di allenamento ci possono portare lontano».