Sintesi da Circolari amministrative e autonomia delle scuole. Dal modello burocratico al federalismo solidale di GIANFRANCO D’ALESSIO (professore ordinario di Diritto amministrativo presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi Roma Tre)
Pubblicato in “Autonomia e dirigenza”, n. 1-2-3, 2002
Il settore dell’istruzione è stato da sempre terreno d’elezione del “governo per circolari”, viste come elemento non solo di indirizzo e di orientamento, ma spesso di diretto intervento, se non di intromissione, dell’autorità ministeriale nella concreta azione amministrativa (e, per quanto riguarda le scuole, anche, se non soprattutto, in quella educativa).
Gli operatori amministrativi sono stati indotti ad agire pressoché esclusivamente sulla base delle circolari, trascurando il riferimento diretto alle leggi, per cui essi sono portati a dare veste giuridica a quello che ben presto si trasforma in un vero e proprio habitus mentale: ossia, tendono a considerare come fonte effettiva della disciplina dei rapporti tra amministrazione e cittadini la circolare.
In altri termini, si deve prendere atto del fatto che nella prassi amministrativa – e tanto più nel caso della scuola – le circolari hanno svolto un ruolo fondamentale, finendo per risultare il vero (se non l’unico) punto di riferimento nell’operato degli organi agenti, ed imponendosi come un diaframma rispetto al dettato legislativo.
Rifarsi alle circolari ha sempre avuto un valore di “rassicurazione” per chi si è trovato a lavorare, con funzioni di direzione e compiti di gestione, nella scuola, contribuendo ad alimentare il circolo vizioso fra autoritarismo burocratico – centralistico e deresponsabilizzazione delle unità periferiche (e dei loro titolari), che da sempre costituisce una peculiare patologia del nostro sistema amministrativo pubblico.
Art. 21 della legge n. 59/1997 e dei successivi provvedimenti e D.P.R. n. 275/1999: in questi testi normativi troviamo l’affermazione in termini generali del regime autonomistico: come si legge nel comma 1 del citato art. 21, ai fini della realizzazione della autonomia delle istituzioni scolastiche le funzioni dell’amministrazione centrale e periferica della pubblica istruzione in materia di gestione del servizio di istruzione sono in linea di principio attribuite alle stesse istituzioni scolastiche, alle quali a tal fine viene riconosciuta la personalità giuridica; ed è significativo che la gestione autonomistica trovi in ogni istituto un suo momento generale di raccordo e di programmazione nella predisposizione del “piano dell’offerta formativa” (di cui all’art. 3 del D.P.R. n. 275/1999). La nozione di autonomia, poi, si articola in tutta una serie di profili, distinti ma lo spazio per tali strumenti, almeno in teoria (altro discorso è quello relativo alla prassi, dove si registra fatalmente un effetto di trascinamento della situazione precedente) dovrebbe essersi consistentemente ridotto, in ragione dello spostamento verso le stesse scuole oppure verso le autonomie territoriali – a seguito del contemporaneo e connesso processo di conferimento a regioni ed enti locali di funzioni statali, anche in materia di istruzione, realizzato con il DLgs n. 112/1998 – di compiti fin qui demandati all’amministrazione centrale ed ai suoi organi periferici.
Sul piano dei contenuti, però, le circolari – dovendosi ritenere che il nesso di subordinazione delle unità scolastiche abbia perso il suo carattere strettamente gerarchico, per trasformarsi in un rapporto di direzione – non dovrebbero andare, nella maggior parte dei casi, al di là della semplice interpretazione di disposizioni normative o della fissazione di direttive di ordine generale.
Se mettiamo in relazione le conclusioni alle quali siamo ora pervenuti nell’individuare la portata innovativa (anche in ordine alla natura delle istituzioni in cui essa si incarna) che l’autonomia scolastica ha assunto in linea di principio – e potrà conseguire concretamente grazie ad una consequenziale revisione della legislazione ordinaria – a seguito della riforma costituzionale del 2001, con le riflessioni in precedenza svolte in riferimento agli elementi identificativi delle circolari amministrative ed alla loro classificazione tipologica, possiamo trarne alcune conseguenze rispetto alla valutazione della ulteriore possibilità di utilizzo di tali atti ad opera dell’amministrazione statale dell’istruzione. È chiaro che, nel momento in cui si giunge a definire le scuole quali enti distinti ed indipendenti dallo Stato, come tali svincolati da un rapporto di subordinazione anche latamente inteso, non può esserci più spazio per circolari interorganiche, e si potrà, semmai, parlare solo di circolari intersoggettive, di per sé prive di valore cogente.
La copiosa utilizzazione che delle circolari amministrative si è sempre fatta in settori importanti e delicati (come quello dell’istruzione), se nel complesso si inquadra e si spiega all’interno di una visione centralistica ed autoritaria dell’amministrazione e dei rapporti interni ad essa, in concreto è stata spesso motivata, come si è già avuto modo di rilevare, dalla necessità di realizzare opportune forme di coordinamento dell’azione delle diverse strutture pubbliche interessate: in particolare, le circolari “intersoggettive” sono state concepite soprattutto come uno strumento tendente a garantire almeno un livello minimo di coerenza nell’operato di più enti pubblici dello stesso tipo e preposti alla cura di interessi pubblici omogenei
La soddisfazione di questa istanza di coerenza complessiva nel funzionamento del sistema, indubbiamente, si configura come un aspetto problematico che investe appieno il nuovo ordinamento autonomistico della scuola, nel quale potrebbero manifestarsi spinte centrifughe tali da produrre effetti deleteri di dissociazione e di frantumazione. Ma è da chiedersi, tenendo anche conto della connotazione compiutamente pluralistica e tendenzialmente paritaria complessivamente assunta dal sistema istituzionale ed amministrativo a seguito della recente riforma costituzionale, se l’esigenza di raccordo e di funzionamento armonico dell’insieme delle istituzioni educative possa ancora essere soddisfatta attraverso meccanismi di coordinamento dall’alto; o non si debba, invece, pensare ad altri e diversi moduli di coordinamento – attraverso la valorizzazione di strumenti di collegamento già previsti dalla recente legislazione (come le “reti di scuole” di cui all’art. 7 del D.P.R. n. 275/1999), o la promozione di forme di associazionismo e collaborazione fra le scuole, delle quali del resto si registrano già interessanti tentativi di sperimentazione, analoghe a quelle che già da tempo si sono affermate, fino ad ottenere formali riconoscimenti istituzionali, sia nel campo delle autonomie territoriali che di quelle funzionali – che siano più rispondenti al radicale ripensamento intervenuto nell’organizzazione scolastica, con “l’abbandono del modello ‘ministeriale’, che è un tipico modello verticale, ed il passaggio ad un modello orizzontale, formato da un insieme di comunità scolastiche, nelle quali si fa istruzione, ricerca, formazione, attraverso modelli flessibili, in vista del raggiungimento di obiettivi generali, secondo standard di qualità, fissati da un centro dotato di funzioni strategiche e finalmente liberato da compiti di gestione”.
Articolo segnalato da Luciana Foti