Per un lavoro compatibile con i ritmi della famiglia

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Volentieri pubblichiamo il testo dell’intervento di Elisa Rocchi dal titolo “Per un lavoro compatibile con i ritmi della famiglia”,  presentato all’incontro su “Famiglia, istruzione e nuove pratiche educative“, tenutosi il 27 ottobre 2018 presso “Il Cerchio” Atelier di espressione di Barbara Arduini a San Giorgio in Salici (VR).

Elisa offre qui una testimonianza viva e lancia un accorato appello all’impegno civile.

Da prossima 40enne e mamma di due bambini, sento l’urgente necessità sociale di parlare in termini nuovi del tema della conciliazione dei tempi famiglia – lavoro.

Prima di tutto ringrazio Barbara del Creativity Garden e Nunzia e Sergio di LAIF che mi hanno offerto la possibilità di scrivere questo articolo, e con i quali ho organizzato un evento a fine Ottobre, a proposito di ecologia dell’infanzia, istruzione familiare e compatibilità dei tempi di lavoro con i ritmi della famiglia.

Quando mi capita di parlare di “un lavoro compatibile con i tempi della famiglia”, ho l’ambizione di accendere una scintilla di speranza nella mente di chi mi ascolta…vorrei che i genitori che mi ascoltano o che mi leggono, potessero davvero auspicare a dei ritmi lavorativi diversi, più rallentati, perché dovrà avanzare anche il tempo per “vivere”, altrimenti quando “viviamo”?

Mi sembra di leggervi …“figurati..con la crisi…e` già tanto avere un lavoro..bisogna accontentarsi..se non ti sta bene, stai a casa che ne prendono 100 ..il lavoro è fatica, sacrificio,etc…”. La mia proposta è quindi di pensare non tanto a come siamo abituati, e aggiungerei rassegnati, ma a come trovare idee alternative e a come provare a realizzarle. Da qui la definizione di “mamma creativa” che mi aveva dato Barbara nel volantino dell’evento di fine Ottobre.

Perché non costruiamo una rete per il diffondersi di  una nuova consapevolezza? Quella dell’esistenza di mamme/papà che vorrebbero lavorare,  ma con modi e tempi diversi da quelli normalmente proposti.

Perché creare una consapevolezza? Perché tutte le conquiste a livello sociale, sono state precedute dalla creazione  di una consapevolezza. Pensiamo ai doverosi progressi fatti nel campo dei diritti dei disabili. Una volta mai sarebbe stato immaginabile ad esempio che nei locali pubblici ci sarebbero stati bagni attrezzati per loro, o pedane per aiutarli nel fare le scale e tante altre cose. Quindi, in generale, serve sempre un gruppo apri pista, qualcuno che faccia riflettere gli altri su una difficoltà che magari tanti neppure immaginano, qualcuno che faccia immedesimare gli altri in una determinata situazione e che crei la percezione che una cosa non è giusta..e che si può  iniziare a cambiarla o per lo meno migliorarla.

Ed ecco quello che dovrebbe fare la rete!  Anche perché molti modelli imposti oggi per la conciliazione della vita familiare  con quella lavorativa non funzionano (la mamma che si licenzia perché non ce la fa più), o funzionano male..(guardiamoci attorno ..insoddisfazione, frustrazione, tristezza, stress, depressione, esaurimento, che a volte degenerano nei più tristi episodi di cronaca). Per non parlare degli effetti di questo correre continuo sui nostri figli, che, se rimangono a volte meno evidenti ai nostri  occhi nella loro tenera età, esplodono nell’età dell’adolescenza, quando può capitare che il tempo per intervenire sia già passato. E noi genitori dove eravamo?

Una volta creata la consapevolezza, servirà però il coraggio di chiedere (lavoratrici) e offrire (datori di lavoro) modalità personalizzate …

Facciamo qualche esempio. La rete potrebbe far riflettere sul fatto che ci sono genitori che hanno bisogno di una flessibilità di orario,da accordare in relazione ai tempi della singola famiglia. Una società per la famiglia, che vuole che si facciano figli, andrebbe nella direzione in cui sta andando attualmente? NO! Dovrebbe essere normale che in  una famiglia, o la mamma o  il papà possano avere il tempo di accudire i figli, prima di andare a lavorare! Perché devo delegare questo aspetto della vita  dei miei figli a nonni o baby sitter? O perché se mio figlio si ammala dopo gli 8 anni, non ho diritto all’assenza per malattia del figlio, che tra l’altro non è pagata nel privato?

È tempo di capire che non ci possiamo permettere di perdere a livello lavorativo delle risorse importanti, molto spesso delle mamme lavoratrici, ed è un  fallimento che succeda questo, perché non siamo riusciti a trovare nel terzo millennio la giusta modalità, magari per iniziare 30 minuti più tardi la mattina… E se questo  è più difficile in una piccola azienda, possiamo auspicare che grandi aziende abbiano voglia di trasformarlo in realtà, che diventino “family friendly”. E a livello più generale, non è forse il momento di capire che non si può vivere come robot e che è meglio iniziare a considerare i bisogni, le  necessità degli altri, perché a rotazione, tutti possiamo attraversare determinate fasi di vita? Oggi sono io mamma di bambini piccoli, domani potrebbe esserlo tua sorella, tu e poi tua figlia! E serve personalizzare, perché quello che va bene ad una mamma, può non andar bene per un’altra e anche un part time, potrebbe non essere la soluzione giusta.

Come è successo a me.

Ecco che qui devo collegarmi a chi sono e come sono arrivata qui, nel bel mezzo di una evoluzione a livello personale e lavorativo.

Se guardo al mio passato, penso di poterlo dividere in più fasi, che probabilmente sono comuni anche ad altri genitori, almeno per le prima parte..

Fase 1, quella della giovinezza, la fase in cui credi ai sogni, quella dello studio e della storiella che ti raccontano che grazie alla laurea, farai il lavoro per il quale hai studiato;

Fase 2, nella quale cerchi di fare il lavoro che ti hanno “promesso”, ma continui a lavorare come precaria;

Fase 3, in cui abbandoni i sogni perché senza il posto fisso, quello “sicuro”, non puoi mettere su famiglia (o almeno così ti hanno sempre detto..) e ti può capitare di accettare un lavoro che ha poco a che fare con quello che avresti voluto fare;

Fase 4, l’esperienza meravigliosa della maternità, la prima maternità, tanto bella quanto sconvolgente nei nuovi ritmi, e il tragico rientro al lavoro, il bambino che va al nido dalle 7.50 alle 17, perché bisogna lavorare in due, perché devi assicurare “tutto” ai tuoi figli, perché quel tutto viene misurato principalmente dal valore economico…, poi se torni a casa già distrutta, non è un problema, perché bisogna  essere “forti” per dimostrare a tutti che si fa tutto, che va bene lo stesso..forse non va bene per te, ma per gli altri si. E tu stai sulla ruota comunque, e continui a correre sempre più forte…

Ecco la mia fase 5 che ha visto una riduzione parziale dei tempi di lavoro, nella speranza che fosse la soluzione giusta, ma per me non è stato così per una serie di motivi.

Con la mia fase 6, inizia la mia splendida evoluzione portata dalla seconda maternità, al rientro al lavoro capisco che non posso e non voglio più andare avanti così. Esattamente quando mia figlia aveva 5 mesi, ho avuto la visione del mio progetto lavorativo personale, che sto cercando di sviluppare, e che vorrei fosse anche per qualche mamma, nei termini in cui vi ho parlato prima,  e che ha contribuito, insieme ad altri elementi, a decidere per la mia fase 7, l’ “abbandono del porto sicuro”, il licenziamento dal primo Settembre di quest’anno.

Quindi da qui, il mio invito a parlarne insieme, tra coloro che sentano forte che così non si può andare avanti, perché la rassegnazione diventi consapevolezza e la consapevolezza si trasformi in progresso, in una conquista sociale per genitori che lavorano, ma scelgono di vivere anche la famiglia, con modi e tempi diversi, anche per quelle famiglie che preferiscono seguire un percorso personalizzato per l’istruzione dei figli.

Grazie per l’attenzione.

Elisa Rocchi.

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