Marocco, 11-13 gennaio: prima tappa del viaggio di Matteo Bulgari

Diario di bordo di Matteo Bulgari

Marocco, 11–13 Gennaio 2019

Sono partito con la mamma e Roby dall’aereoporto di Orio al Serio, un poco in ritardo rispetto all’orario prestabilito.
Per me era il primo volo della vita. Quando l’aereo è partito ho avvertito una sensazione di vuoto, ma non avevo paura.
Dall’aereo, quando ha preso quota, vedevo tutto il mondo dal posto vicino al finestrino dove avevo voluto stare.
Almeno così a me sembrava.
Le montagne dall’altro sembravano piccole, innevate ma non morbide.
Vedevo la terra sotto di me e sembrava davvero piccola.

 

 

Ho visto lo Stretto di Gibilterra,
un piccolo pezzo di mare che divide la Spagna dall’Africa
e il mar Mediterraneo dall’Oceano Atlantico.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ho pranzato sull’aereo.
Ho voluto la pasta ma è arrivata molto in ritardo
perché si erano dimenticati di me

…….. il più affamato dell’aereo.

 

 

 

 

 

Sono atterrato all’aereoporto di Marrakech in perfetto orario (nonostante il ritardo della partenza).
Dopo i vari controlli dei documenti sono uscito e la prima cosa che ho notato era il caldo che a me sembrava BESTIALE.
Il cielo era meraviglioso e il clima favoloso. Ma ancora non mi sembrava di essere così lontano da casa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un taxi ci ha portato vicino all’albergo. In parte alle strade ci sono bellissimi alberi di arance. Ma qui, ci ha spiegato il taxista, queste arance non sono buone da mangiare. Vengono usate solo per aromatizzare la carne ma non vengono mangiati direttamente.

Subito ho notato il traffico, le strade con poche indicazioni per terra.
Qui tutti superano a destra e sinistra, come capita.
Tantissimi sono i motorini (di modelli molto vecchi rispetto a quello che sono abituato a vedere) e tutti girano senza casco e nelle vie proibite.
Spesso mi capita di vedere 4-5 persone sullo stesso motorino, magari bimbi piccoli incastrati tra mamma e papà.

 

 

 

La camera d’albergo è molto piccola
ma caratteristica.
Questo è ciò che vedo fuori dalla camera.

 

 

 

 

 

 

Fino ad ora ho visto tante cose interessanti e caratteristiche del posto.
Un signore mi ha appoggiato una scimmia sul braccio. Era morbida e pesante.

Nella piazza principale ho visto gli incantatori di serpenti
che facevano come danzare alcuni cobra.

 

 

 

 

 

 

 

Qui tutti vogliono essere pagati, anche per poter fare fotografie. Così anche in questo caso abbiamo dovuto dare una mancia. Naturalmente le mance vengono chieste solo ai turisti.

 

Questo è un pezzo della piazza principale della città:
Piazza Jamaa el fna.

 

Per vedere la città sto facendo circa 10 km al giorno. A piedi. Naturalmente. Per vedere meglio le cose che mi circondano. Non sono molto felice di questo e continuo a lamentarmi per il mal di gambe.

 

 

 

 

 

 

 

Nella città ci sono molti parchi e molto verde.

Alcune persone sono vestite in modo molto diverso da noi.
Ma non sono stupito per questo perché nel mio paese e nella mia città ci sono tante persone che provengono da questa zona e che portano vestiti lunghi (per gli uomini) e veli in testa per le donne.
Quello che mangio mi piace, ma non tantissimo. Non è sicuramente la pasta e la pizza italiana (che mi mancano già tantissimo).
Il couscous mi piace moltissimo ma qui mettono moltissime verdure e tantissime spezie.
Domani partirò per Agadir con un autobus che ho già prenotato.

 

DAL PUNTO DI VISTA DELLA MAMMA

La città è molto caotica, strettamente e prettamente turistica.
Si divide in due parti, la Medina (la parte vecchia medievale circondata da mura) e la Nouvelle Ville, la città nuova.
La parte medievale è molto caratteristica.
Dalla piazza centrale si diramano a raggiera numerosi vicoletti dove si sviluppa un mercato molto caotico e frequentato.
I negozietti piccolissimi (3 – 4 mq) vendono merce esposta in modo ordinato e colorato. Tappeti, pellame, borse, bigiotteria, manufatti, frutta secca, olio di argan, gite turistiche. Ognuno offre la propria merce con orgoglio e dignità.
La parte più meridionale della Medina accoglie un mercato a cielo aperto: la kashba, non lontano dal palazzo reale.
I vicoletti, piccolissimi, sono colmi di cibo appoggiato per lo più per terra. Ogni tipo di frutta e verdura con colori vivacissimi e spezie di ogni colore e profumo.

Sembra quasi di entrare in un altro paese.
Le persone, di origine berbera, a stento parlano il francese, a stento forniscono indicazioni su quale strada prendere. È molto facile perdersi nei meandri di queste  stradine. Di turisti ne troviamo davvero pochi ma la gente del posto sembra abituata a tre persone incuriosite e spaesate come noi.
Non troviamo altro modo per poter vedere la città se non quello di camminare. 10 km al giorno sono la media del percorso fatto in questi giorni.

Il cielo terso, il vento e il caldo (non esagerato, pensavamo facesse più caldo) sono caratteristiche che non vedevamo da tempo a casa.
Mi sembra di essere in un sogno ad occhi aperti dove puzza di escrementi di cavallo (i carrettini trainati da cavalli per il trasporto dei turisti hanno addirittura spazi segnalati riservati per il parcheggio e corsie riservate), bimbi di pochissimi anni che vendono pacchetti di fazzoletti per strada, donne completamente coperte dal burqa sperano di vendere qualche dolcetto forse fatto da loro stesse prima di uscire e indossare guanti neri che coprono loro anche le mani, si mescolano a odori di cibo di ogni genere e profumi di spezie, suoni di tamburi che riproducono danze e musiche berbere, flauti degli incantatori di serpenti e scimmie con la catena al collo, occhiali da sole e pannolino che si fermano rassegnate per una fotografia con il turista di turno.
Dentisti a cielo aperto espongono, su un piccolissimo tavolino, da una parte i numerosi denti che hanno tolto (in segno forse della loro bravura) dall’altra dentiere di varie forme e misure accanto a ferri del mestiere.

La gente del posto è ospitale ma occorre sempre contrattare ogni cosa si voglia fare o acquistare.
Ognuno cerca di vendere la propria merce con insistenza provando a guadagnare il più possibile, anche fregando i turisti.

Moltissimi di loro parlano l’italiano, segno della loro permanenza nel nostro paese.

Il cibo è profumatissimo e ottimo. Almeno per ora. Non siamo abituati a mangiare così speziato.
In ogni caso per ora resisto (solo io a dir la verità) a non mangiare pizza o spaghetti, anche perché trovo il loro aspetto poco invitante.
Mi chiedo che impatto abbia tutto questo su Matteo. Chiede spesso “Barilla alla Bolognese” o MC Donald’s; magari sono sapori che conosce e che lo fanno stare al sicuro, quasi protetto in un posto che gli è completamente estraneo.
E’ molto impaziente e quando decide di fare o volere qualcosa (adora il succo di melograno che viene spremuto al momento da frutti enormi, succosissimi e molto saporiti) mette il broncio fino a quando non lo ottiene. Anche a casa si comporta così e io non ci ho fatto caso nella routine quotidiana oppure è un aspetto di mio figlio che non conoscevo? Oppure è un atteggiamento dovuto dalla situazione? Vedremo.

Domani bus alle 10,45 per una nuova avventura.

Direzione Agadir.

Il racconto di viaggio di Matteo continua a questo link.

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