Belluno, 1 giugno 2019.
Sono ormai trascorsi due mesi da questo incontro illuminante e commovente con Arno e André Stern e, con il passare del tempo, ritornati alla quotidianità, scontrandosi con le difficoltà di tutti i giorni, scemato gradualmente e lentamente l’entusiasmo, confesso sinceramente che è diventato molto più difficile mettere in pratica quanto ascoltato in quell’occasione.
Sono reduce da una sfuriata nei confronti di mio figlio, per il fatto che non vedo mai né interesse né iniziative di alcun tipo da parte sua e, sbollita un po’ la rabbia, mi è venuta l’intuizione che, forse, sia proprio il caso di andarsi a rileggere gli appunti e le considerazioni buttate giù in quel caldo sabato di inizio giugno. Quale pretesto migliore
quindi per “sfruttare l’occasione” e scrivere finalmente il mio report sull’evento di Belluno?
Premetto che mi concentrerò prevalentemente sull’intervento di André Stern, in quanto la parte del padre Arno è risultata essere un po’ troppo “tecnica” per me, che sono una semplice mamma, e quindi di più difficile comprensione.
André, citando episodi ricorrenti della sua infanzia, ha preso lo spunto per introdurre l’argomento che dava il titolo al suo intervento e cioè lo scarso rispetto che gli adulti hanno nei confronti dei bambini.
In genere infatti quando si incontra un bambino e ci si rapporta con lui per la prima volta, si tende ad avere un atteggiamento diverso rispetto a quello che si terrebbe nei confronti di un adulto mai conosciuto in precedenza. Di solito ad un piccolo/a chiediamo come si chiama, senza poi presentarci a nostra volta; ci riteniamo in diritto di chiedergli/chiederle l’età o addirittura di scompigliare capelli e dare buffetti sulle guance, tutti gesti che presuppongono un grado di confidenza che non possiamo certo avere con una persona appena incontrata e che, a parità di situazione, non ci permetteremmo mai di tenere nei confronti di una persona adulta.
Questo atteggiamento è discriminante e ogni volta che un individuo vive una situazione di questo tipo, nel cervello si attivano le stesse aree che si attivano quando proviamo un dolore. La discriminazione produce quindi al nostro cervello lo stesso effetto di un dispiacere.
Ci è stato fatto credere che il fondamento del nostro mondo cosiddetto civilizzato e occidentale sia la “legge della giungla”, la quale, nella narrazione ufficiale e dominante, prevede competizione e concorrenza tra le persone e un individualismo spiccato e sempre più in aumento.
Tuttavia questa è una “vecchia visione” del mondo e della società. Se ci soffermiamo a riflettere un attimo, ci rendiamo conto che questi atteggiamenti sono deleteri per l’umanità.
Nel regno vegetale accade invece qualcosa di completamente diverso da ciò che ci viene raccontato; infatti nel mondo delle piante ci sono collaborazione e sinergia tra le varie specie. Recentemente studi scientifici hanno dimostrato che, quando in una foresta un albero viene attaccato da parassiti, perché per esempio presenta la corteccia danneggiata
e quindi offre un accesso facilitato alle malattie, le piante vicine all’esemplare colpito, iniziano a secernere ormoni che attraggono uccelli, i quali, nutrendosi del parassita in questione, aiutano in modo attivo il “soggetto debole”.
La “legge della giungla” è quindi qualcosa di completamente diverso dalla “versione ufficiale”. La legge naturale è basata sulla collaborazione, sulla condivisione, sul mutuo aiuto, tutti valori positivi e antitetici rispetto a quanto avviene di norma in ogni ambito della società attuale (e quindi anche della scuola, aggiungo io …).
A questo punto André Stern ha iniziato a parlare di una visione comune e attuale che considera il bambino come la “versione Zero” della persona, mentre si ritiene comunemente che l’adulto costituisca la “versione PLUS”, cioè potenziata dell’essere umano. Come se solo al raggiungimento dell’età adulta, la persona possa dirsi compiuta e
completa e non piuttosto che l’individuo, piccino o più cresciuto, sia piuttosto un essere sempre in mutamento, in divenire e in evoluzione.
Confesso che mai nessuno mi ci aveva fatto pensare finora ma che, effettivamente, questo punto di vista è stato illuminante e mi trova molto d’accordo. Si è quindi costruita una visione del mondo basata su questa idea, mentre in realtà ogni bambino è un gigante, se considerato per i suoi potenziali. Ogni bambino, alla nascita, racchiude in sé tutte le infinite possibilità e potenzialità, che purtroppo, a causa delle credenze e delle convenzioni limitanti della nostra società, vengono in gran parte perse, addirittura nei primi anni di vita Al termine di questa emorragia di potenziali, ecco che rimane l’adulto… E pensare che lui, l’adulto appunto, crede invece di avere finalmente raggiunto la propria “versione PLUS” e per questo di essere migliore del bambino che era stato in passato…
È così che ognuno di noi, ogni adulto, porta in sé un bambino ferito, perché ci è stato fatto capire che, così come eravamo non contavamo nulla, eravamo di “poco valore”.
“Ti amerei di più se corrispondessi meglio alle mie aspettative …” questo è il messaggio che passiamo ai nostri figli; gli facciamo percepire che, così come sono, siano “sbagliati”. In questo modo, i nostri figli diventano come noi li vediamo. Noi stessi continuiamo a vederci come gli altri ci hanno visti fin da bambini. E così succede che la maggior parte delle persone adulte, compresi probabilmente noi stessi, passi il tempo a scusarsi per essere diversa da come gli altri si aspettano che siano.
Per quanto riguarda il discorso dell’apprendimento, André sottolinea il fatto che tutti noi siamo eccellenti in ciò che ci interessa, che ci piace, così come invece siamo uno zero in ciò che non ci interessa e non ci piace. André dice testualmente che: “Apprendre n’existe pas!” e cioè “apprendere non esiste”, intendendo con ciò che “imparare” non è
una cosa che scegliamo di fare ma è qualcosa che ci succede, un processo naturale. E ogni bambino potrebbe vivere e sperimentare un’educazione di tipo naturale e non imposto, così come è avvenuto per André Stern, se solo gliene venisse data la possibilità, se solo gli venisse concessa la fiducia necessaria.
Il nostro cervello non è predisposto per imparare a memoria mentre invece è strutturato per risolvere i problemi. Non a caso al giorno d’oggi si sente parlare sempre di più di “problem solving” e cioè dell’insieme di tecniche e metodologie che portano ad analizzare un problema o una difficoltà per poi trovare e mettere in atto le strategie migliori volte a risolvere tale situazione.
Un’informazione viene memorizzata quando si attivano i centri emozionali del nostro cervello deputati a tale funzione; questo è il motivo per cui è normale che si dimentichino almeno l’80% di ciò che si è obbligati ad imparare (e questo è appunto ciò che avviene nella scuola – n.d.a.).
C’è una sola attività in grado di attivare i nostri centri emozionali e questa è il gioco! Infatti cosa farebbe un bambino se venisse lasciato libero di fare ciò che più gli piace? Giocherebbe tutto il tempo!!
E allora perché siamo soliti interrompere i nostri figli quando stanno giocando? (e qui io mi sono detta che André non si riferisse certo a tutti quegli infernali aggeggi elettronici che ormai popolano le nostre case e succhiano il cervello a noi e ai nostri pargoli …).
In passato si riteneva che l’intelligenza fosse programmata e determinata geneticamente, mentre, all’inizio del XXI secolo e cioè oggi, le neuroscienze hanno stabilito che il nostro cervello si sviluppa in base all’uso che ne viene fatto. Quindi inizialmente si è pensato a ideare dei programmi di allenamento cerebrale, come si farebbe con un qualsiasi altro muscolo del nostro corpo. Ma poi è intervenuta una scoperta che ha cambiato, e non di poco, le carte in tavola: il nostro cervello in realtà si sviluppa meglio e compie progressi quando lavora provando contemporaneamente entusiasmo.
E siccome c’è entusiasmo in ogni bambino, esiste un genio in ognuno di loro, così come in ognuno di noi che siamo stati bambini in un tempo più o meno lontano.
Il problema nasce dal fatto che, molto probabilmente, ciò che ci entusiasma non è riconosciuto e visto come positivo dalla società in cui viviamo. E per questo motivo, ci convinciamo di non valere nulla (e convinciamo di questo anche i nostri figli…). Questo atteggiamento ci riconduce al bambino ferito che vive in ogni persona, perché quello che
ciascuno di noi avrebbe sempre e solo voluto sentirsi dire è: “Ti amo per ciò che sei, così come sei!”.
Ognuno di noi desidera che i propri figli diventino un giorno adulti felici. Ma troppo spesso dimentichiamo che noi stessi siamo tutti i giorni un esempio, siamo d’ispirazione per i nostri ragazzi. E quindi essi hanno bisogno di avere QUI e ORA, come modello, dei genitori felici!!
L’intervento di André Stern si chiude quindi con un incredibile invito alla fiducia, in quanto l’unica espressione dell’amore incondizionato è la fiducia incondizionata!
Milena Ricci Petitoni