Proponiamo un estratto dell’articolo sull’unschooling apparso su Donna Moderna (a firma di Paola Maraone), che prende spunto dalla pubblicazione del libro “Io imparo da solo” di Elena Piffero, per Terra nuova edizioni.
Su questo tema è stata interpellata anche LAIF.

I 3 figli di Elena Piffero hanno 9, 7 e 5 anni e farebbero rispettivamente la quarta elementare, la prima e la scuola materna.
Farebbero, se la frequentassero. Lei e suo marito hanno scelto di educarli a casa, con il metodo dell’unschooling.

… l’unschooling è un “apprendimento libero e autoguidato”, più rilassato e meno schematico: sono i bambini a scegliere cosa e quando imparare, seguendo passioni e inclinazioni. E i genitori? Facilitano l’accesso alle fonti, forniscono stimoli, rispondono a dubbi.
«A Birmingham, dove vivevamo, ho conosciuto una mamma la cui figlia era “home educated”, cioè educata in casa» spiega Elena, che dopo un dottorato in Cooperazione internazionale ha lavorato in diversi Paesi. «La reazione di pancia è stata: “Strani, gli inglesi”. Però mi è rimasta la curiosità e ho approfondito». La famiglia di Elena si è poi trasferita a Bologna; i suoi bambini non hanno mai messo piede in una scuola, lei ha continuato a documentarsi. Al punto da arrivare a scrivere il primo libro italiano sull’argomento, Io imparo da solo! (Terra Nuova), in cui mescola il racconto di un’esperienza personale – la sua – a studi e ricerche sul tema.

I punteggi degli unschooler

Due studi americani confermano che gli allievi autodidatti hanno punteggi superiori. Imitazione, spirito di iniziativa, confronto con genitori, fratelli e amici; si può imparare in molti modi. Poi certo, si usano anche i libri (e il web, le visite ai musei, i laboratori creativi…). Ogni unschooler trova il suo equilibrio: sembra incredibile ma funziona. Racconta Nuccio Salis: «Da un lato le famiglie riferiscono esperienze positive. Dall’altro 2 studi americani del National Home Education Research Institute e del Journal of Educational Research confermano: l’adattamento sociale e la stabilità psico-emotiva degli unschoolers, ma anche i punteggi in termini didattici sono superiori a quelli dei coetanei scolarizzati».  … (n.d.r. a questo link si trova un altro studio nordamericano sull’homeschooling).

L’impegno della famiglia

Innanzitutto, è richiesta presenza: Elena e suo marito lavorano entrambi part time per occuparsi dei figli. Per socializzare ci sono le biblioteche, gli scout, i viaggi, le gite al parco. «Ci sono periodi in cui sembra tutto fermo, altri in cui invece è evidente, letteralmente, la fame di imparare. Certo ogni tanto devi sederti, prendere un respiro e pensare: “ok, mi fido”». Tutto l’opposto dei percorsi standard proposti dalla scuola, che tendono all’omologazione.

«Il nostro tentativo è quello di reinterpretare e innovare il sistema» spiega Sergio Leali, presidente di Laif, Associazione italiana per l’istruzione famigliare.
«Mia moglie fa l’insegnante da 25 anni, in un istituto tecnico, con passione. I nostri figli sono andati a scuola ma da 9 anni fanno istruzione parentale. Per dire: conosciamo bene il tema e non siamo “contro”. Proponiamo un’alternativa. Con l’unschooling sono l’entusiasmo e la passione dei ragazzi a tracciare le linee di forza; il genitore si inserisce su queste linee, privilegiando le sfaccettature più essenziali e poetiche della realtà rispetto alle nozioni apprese ».

Vai all’articolo integrale su Donna Moderna

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Donna Moderna parla di unschooling, sentita anche LAIF

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