Fare unschooling significa crescere senza regole?

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Fare unschooling è davvero sinonimo di anarchia e abbandono delle norme di convivenza? 

Si tratta di un malinteso assai diffuso, anche tra chi pratica l’istruzione parentale: si traduce il termine unschooling con non istruzione o non scuola e lo si interpreta come un’abdicazione al ruolo genitoriale da parte degli adulti e al dovere di provvedere all’istruzione della prole, con conseguente mancanza di regole e di impegno o dedizione allo studio da parte dei bambini.

Il vero significato di questo termine invece è da ricercare nella parola schooling, che in inglese indica l’istruzione formale, il curriculum standard.

Fare unschooling significa rinunciare a un approccio di tipo scolastico, strutturato e formale; a un percorso prestabilito a cui il bambino deve conformarsi, che lo vede come una tabula rasa mentre l’adulto è l’autorità che detiene il sapere.

L’unschooling è un tipo di approccio che muove dal presupposto (oggigiorno ampiamente condiviso anche fra gli specialisti dell’apprendimento e delle neuroscienze) che il bambino possiede tutto ciò che gli è necessario per apprendere ciò di cui ha bisogno: ben lungi dall’essere un contenitore da riempire, il bambino viene considerato portatore di talenti persino superiori per quantità e qualità a quelli dell’adulto.
Nell’unschooling, l’adulto accompagna il bambino nella sua scoperta del mondo, senza interferire nel processo di crescita e di apprendimento, creandogli le condizioni per accedere alla realtà. L’adulto dà al bambino i mezzi perché possa seguire e approfondire i propri interessi, perché possa soddisfare il proprio bisogno di apprendimento. Anche libri? Certo! Perché no? Tanti libri. Ma naturalmente non solo: esperienze, viaggi, conoscenze, attività, diversificando a seconda del tipo di bambino, con equilibrio e fantasia.

E le regole?

Le regole sono nel mondo, nella società. Sono ineludibili.
Non è necessario imporle: il bambino le respira e le acquisisce per imitazione e emulazione.
Il bambino che vive in una famiglia inserita in un tessuto sociale ricco e articolato, impara vivendo le norme fondamentali del vivere civile, molto più che se gli fossero imposte da estranei.

La famiglia e la comunità di cui questa fa parte non sono forse gruppi sociali che implicano regole di convivenza imprescindibili?
Le relazioni al loro interno non sono forse complesse, almeno al pari (se non più) di quelle della scuola?
Il rispetto delle “regole” non è inevitabile, in famiglia come altrove?
E il bambino che ci vive non è forse destinato a imparare e a rispettare queste regole?”

La prima regola che impara il bambino in unschooling è quella del rispetto: se lui per primo viene rispettato nei suoi bisogni, nelle sue curiosità, nelle sue caratteristiche, senza essere etichettato o giudicato, impara di conseguenza il rispetto per gli altri, per il mondo, per la natura, esercitando e affinando quelle che sono le competenze sociali innate dell’essere umano: l’atteggiamento empatico (presente già nei neonati), la solidarietà, l’accoglienza e il rispetto.

I bambini in unschooling non studiano?

Anche questo è un mito da sfatare: i bambini in unschooling studiano tutto ciò che è degno di essere studiato per loro, come raccontò una volta mio figlio quindicenne al dentista.
Certo che studiano! Leggono, fanno ricerche, si documentano, analizzano, approfondiscono. Difficilmente li troverete studiare sui libri di scuola; più facilmente li vedrete con in mano romanzi, riviste specialistiche, testi monotematici o monografie. Non pensate che non capiscano: se così fosse, non leggerebbero! E non ci sono problemi di concentrazione: la motivazione è troppo forte per distrarsi!
Il loro impegno è davvero grande, ma il loro apprendimento funziona in modo diverso da quello di chi studia a scuola.

Esiste una definizione italiana di unschoooling?

Sì, ne esistono diverse, a seconda di quale aspetto si vuole evidenziare di questo approccio.
Tutte però hanno in comune il rifiuto del termine istruzione, in favore di quello di apprendimento.
Si parla di apprendimento autoguidato, o auto diretto, per indicare la centralità del bambino nell’operare le scelte didattiche e di apprendimento.
Si dice anche apprendimento spontaneo, per indicare l’assenza di un insegnamento esterno.
Il termine apprendimento naturale sottolinea sia la naturalità con cui avviene l’unschooling, sia anche il fatto che spesso tale apprendimento avviene in contesti naturali e in modo naturale, con tempi e spazi a misura di bambino.
Quando si parla di apprendimento non strutturato si sottolinea la non formalizzazione dei percorsi e dei curricula.

L’unschooling è, a tutti gli effetti, una forma di homeschooling, una delle molteplici possibili modalità di adempimento del diritto-dovere di istruzione della prole sancito dalla nostra costituzione all’art. 30.


di Nunzia Vezzola

Articolo già pubblicato a questo link nella rubrica “Io faccio homeschooling” del blog del bambino naturaleIl leone verde Edizioni)

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2 commenti su “Fare unschooling significa crescere senza regole?”

  1. Buona sera, io voglio fare homescool ai miei figli di 10 e 13 anni in stile montessoriano/steineriano, ma mia figlia che ha 13 anni è dislessica e mio figlio purtroppo ha un brutto disturbo danno dai vaccini precedenti (purtroppo l’ho capito recentemente leggendo i nuovi studi sui vaccini) e ne paghiamo le drammatiche conseguenze da anni senza la minima comprensione delle dottoresse di sistema. Come possono apprendere leggendo? Mia figlia dice di non capire nulla. Non vorrei che il maledetto indottrinamento a scuola le abbia fatto odiare la lettura. E come si fa se i fratelli non vanno minimamente d’accordo? È fattibile? Grazie.

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