Quando ho iniziato a ragionare più concretamente sull’istruzione parentale, come spesso accade per le scelte importanti, le domande erano davvero tante.
Forse sarebbe più corretto dire “abbiamo”: parlo sempre al singolare, ma è un progetto di tutti e quattro, anche e soprattutto dei nostri bambini.
Alcune domande erano più basiche, più tecniche, di solito legate alla burocrazia, altre, quelle più ostiche, erano legate alla validità della nostra scelta.
Come tutti i genitori, quando si tratta di prendere decisioni per i nostri figli, ci facciamo venire mille dubbi, ci mettiamo sempre in discussione, per capire se le scelte che man mano si fanno sono davvero il loro bene.
Tra le altre cose con cui ci siamo scontrati/confrontati ci sono lo scoglio della valutazione (e la sua modalità) e, più in generale, del nostro riconoscimento.
Partendo a monte dal diritto/dovere all’istruzione, è chiaro che la nostra scelta è legittima e riconosciuta (anzi, volendo andare proprio a vedere, per come sono messi gli articoli della Costituzione, il caso fuori standard dovrebbe essere la scuola, non la famiglia che si mette i prima linea … ma non sottilizziamo troppo!!!), così come giustamente lo Stato si fa garante del rispetto dei diritti del più debole, vale a dire del bambino/studente.
Noi sappiamo, ognuno per sé, che stiamo lavorando con i nostri figli e per i nostri figli, affinché abbiano un’istruzione vera e solida, fatta propria, metabolizzata e resa parte di sé, usata come base e scalino per arrivare sempre più in alto nella crescita personale. Lo possiamo tutt’al più sapere per i nostri amici, per le persone che frequentiamo.
Ma ovviamente non possiamo esserne certi per ogni singola famiglia che abbia dichiarato di fare istruzione parentale, così come l’istituzione Scuola non conosce ogni famiglia che fa questa scelta, non può e NON DEVE dare per scontato che tutte le famiglie che risultano in istruzione parentale siano corrette e lavorino per il bene del figlio. Da persona dotata di un normale raziocinio, so che, purtroppo, anche in questo ambiente ci sono quelle che nel parlar comune vengono definite “mele marce”, quei personaggi che sfruttano un diritto costituzionale solo per un proprio tornaconto, a discapito delle persone alle quali dovrebbe tenere di più.
E allora, ancora di più da mamma, dico ben venga una supervisione, un accertarsi che la parte in gioco più debole venga davvero tutelata nei suoi diritti. Perché tanti, troppi bambini si vedono negato un diritto assoluto, quello di istruirsi, e prima ancora uno più sacro, quello di essere bambini.
E chi nasconde la testa sotto la sabbia, di fronte a questi soprusi, non è che mi sia molto più simpatico di chi li commette.
Oltretutto … la scelta che abbiamo fatto è frutto di una spinta che viene da dentro, un “sentire con la pancia” che quella, per noi, era la strada giusta. Che assolutamente non vuol dire sia migliore di altre, ma nemmeno peggiore. Semplicemente la nostra.
E in quanto tale, in quanto sicuri, pur con le inevitabili difficoltà che si incontrano, come in ogni percorso, non abbiamo nulla da nascondere, nulla di cui avere paura, nulla di cui vergognarci.
Ed è per questo che credo sia sacrosanto che le famiglie che fanno istruzione parentale vengano riconosciute a 360°, che finalmente diventi normale, anche in Italia, questo tipo di cammino.
Che come dicevo prima, il percorso di istruzione parentale non è migliore o peggiore di altri, è semplicemente UNO tra i tanti possibili, esattamente come altre famiglie hanno scelto di mandare i propri figli alla scuola pubblica, piuttosto che ad una steineriana o ad una di ispirazione Montessori, ad una scuola laica o ad una gestita da religiosi.
Dove sarebbe la differenza? Non c’è.
Ogni genitore che così si possa definire, compie queste scelte con in mente il bene dei propri figli; perché queste scelte devono essere tranquillamente accettate e rispettate, mentre la nostra no? Non ha senso.
Ci sono genitori che letteralmente parcheggiano i figli a scuola, e quando va bene si interessano del percorso scolastico e di vita scolastica del figlio solo per il colloquio di fine anno, limitandosi a premi o punizioni in base ad un numero scritto su un foglio.
E questo non crea problemi a nessuno, come se mandando i figli a scuola un genitore non ne fosse più responsabile. Mentre se un genitore accoglie in toto la scelta di istruire oltre che educare un figlio, allora è da combattere?
Qualcosa stona, e parecchio.
Quindi a parer mio il primo passo è che le famiglie che scelgono l’istruzione parentale siano riconosciute al pari di tutti gli altri percorsi di studio.
Solo arrivando al riconoscimento, si vedranno sparire tutti i problemi legati ad esami fatti in maniera irrispettosa sia del bambino in quanto tale che del suo curriculum di studio, insegnanti che sembra vogliano a tutti i costi dimostrare che chi non frequenta non impara, quasi si sentissero offesi dalla scelta fatta da queste famiglie; non ci sarebbero più Dirigenti Scolastici che sono convinti di “dover dare il permesso”, di “dover stare addosso”, “ricevere tutti i quaderni di tutti i lavori di tutto l’anno”, che fanno muro, che si pongono in maniera oppositiva anziché inclusiva, che ostacolano e mettono i bastoni tra le ruote in ogni modo e maniera possibile.
Perché nel momento in cui saremo riconosciuti, sarà riconosciuto che c’è un altro modo di imparare, anzi, ce ne sono, come dico spesso, tanti quanti sono i nostri figli, perché anche all’interno della stessa famiglia con più figli, ci sono percorsi differenti!
E allora si potrà parlare davvero di valutare il percorso fatto dallo studente, presentato con orgoglio ed accolto con interesse ed attenzione, con l’unica finalità per tutti (scuola e famiglia) della crescita del bambino/ragazzo.
Se voglio andare a trovare le amiche di Belluno, posso fare l’autostrada oppure passare per tutti i paesini (oltre che tante altre combinazioni).
Ma se ho fatto l’autostrada e mi si viene a chiedere se ho trovato tanti semafori e rotonde o al contrario se ho fatto tutte le stradine e mi si chiede a quante corsie era l’autostrada e quanti caselli ho attraversato, beh.. abbiamo un problema.
Però a Belluno sono arrivata lo stesso, carica e felice.
Quindi perché dovrebbe essere un problema altrui quale strada ho percorso? Se invece qualcuno prima si informa da dove sono partita e dove volevo andare, mi chiede perché ho fatto quella scelta, e prosegue il confronto in base alla mia esperienza, allora ci si arricchisce entrambi!
Ci si può confrontare su eventuali difficoltà piuttosto che punti di forza legati alla strada percorsa. Si possono avere e dare consigli utili. E non è forse questo lo scopo dell’apprendimento, per tutti?
Nell’istruzione che vorrei, mi piace davvero immaginare, anche qui da noi, una realtà come quella in cui vive una persona alla quale voglio molto bene e che non vive più in Italia; ha fatto scelte similari alle nostre, seppure non identiche: questo ci permette di confrontare i nostri approcci arricchendoci delle reciproche esperienze, sapendo che il traguardo comune è il bene dei nostri figli.
Nella realtà in cui vive, fare istruzione parentale è assolutamente la norma. Nessuno si scandalizza, nessuno ti chiede se sei matto, nessuno ti chiede “ma sarà legale?”, nessuno ti dà del fuori di testa accusandoti di non voler fare socializzare i tuoi figli.
E questo è assolutamente identico anche nel rapporto che si ha con la scuola come istituzione. Anche lì è previsto che lo Stato vigili affinché i bambini vengano davvero istruiti e non sfruttati, anche se è una cosa che nessuno vive in maniera stressante o con chissà quale ansia; l’esame non è tutti gli anni, ma ogni due, partendo dal terzo di istruzione parentale.
Non ci si pone il problema di “dove” andare a fare l’esame, perché (salvo questioni strettamente personali) la scuola giusta è quella del tuo paese o del tuo quartiere, perché tutte le scuole sono in grado di rapportarsi con chi sta facendo un percorso differente. Anche durante l’anno, ci si può rivolgere alla scuola per eventuali dubbi, eventuali richieste.
Se si vuole fare frequentare ai propri figli quello specifico corso e solo quello.
Ma la cosa che davvero è la conferma del riconoscimento di queste famiglie è la possibilità di fare sì il test a scuola, ma altrettanto di rivolgersi a degli insegnanti qualificati e riconosciuti, che lavorano solo con gli studenti che fanno istruzione parentale, e che quindi ragionano fuori dagli schemi e dagli stereotipi della scuola.
Vengono contattati dal genitore, che li informa che il figlio deve sostenere il test per il tal anno scolastico e questo insegnante si limita ad una chiacchierata, più o meno lunga, più o meno dettagliata, con il bambino o il ragazzo che deve sostenere il test.
Perché, forte della sua preparazione e della sua esperienza, oltre che della sua elasticità mentale, sa capire se quello studente, con tutto il suo percorso ed il suo bagaglio ha fatto proprie le cose studiate, è curioso di cose sempre nuove, è “cresciuto” nel senso più ampio del termine.
Senza stress, senza necessariamente fogli o schede, parlando e interagendo davanti al materiale che lo studente e la famiglia presentano. Il tutto senza problemi di sorta con l’istituzione Scuola, proprio perché questa figura è riconosciuta dallo Stato.
Quindi, se ci riesce un sistema scolastico che, per tanti versi, è “indietro” rispetto al nostro, che invece dà ai ragazzi molta più conoscenza e cultura.. perché non dobbiamo riuscirci noi?
Perché dovremmo nasconderci come i ladri, come se stessimo facendo del male ai nostri figli? Come se fare istruzione parentale fosse qualcosa di losco, di settario, di chiuso?
L’istruzione parentale è uno degli esempi più belli di libertà di scelta e di crescita, perché dovrei vergognarmene come se non fossi davvero convinta della mia scelta?
I miei figli, i figli delle famiglie che camminano su questa strada, non sono studenti di serie B, non sono quelli che “vedi, non vanno a scuola quindi rimarranno ignoranti”.
Per piacere, per piacere, PER PIACERE, togliamoci una volta per tutte dallo stereotipo del gendarme che viene a prendere a casa il bambino che non va a scuola.
Ma dobbiamo essere noi per primi ad essere orgogliosi della nostra scelta, a fare capire che un altro percorso, altri cento, mille, percorsi sono possibili, aprendoci al confronto e non chiudendoci.
Perché se noi per primi ci chiudiamo, non possiamo aspettarci che gli altri ci accolgano a braccia aperte … e a perderci saremmo solo noi ….
di Alessandra Crosta, mamma homeschooler
Hai detto quello che penso io…
Grazie mille…
Grazie a te 🙂
Grazie. In che nazione vivono i tuoi amici dove è così naturale fare homeschoolin
Ciao!
Vivono in Colorado 🙂
Articolo fantastico! Grazie per aver messo nero su bianco tutte queste preziose riflessioni. Un abbraccio Morena
Grazie a te! 🙂