Unschooling, cos’è?
Lo spiega Elena Piffero, socia LAIF e autrice del libro “Io imparo da solo”, per Terra Nuova Edizioni.
Da circa due milioni di anni l’evoluzione della specie umana ha cominciato a dipendere dalla trasmissione culturale: gli strumenti e le attività (caccia, pesca, raccolta e lavorazione del cibo) che garantivano la sopravvivenza comportavano conoscenze minuziose e abilità ben perfezionate, troppo complesse da scoprire per un gruppo di individui che vivevano assieme.
È diventato cruciale quindi poter contare sul patrimonio di saperi conquistato dalle generazioni precedenti.
Ma la trasmissione di questi saperi non spettava agli adulti, non era qualcosa che veniva impartito ai bambini.
Questo approccio è stato identificato con il termine unschooling per sottolineare che la trasmissione di conoscenza non passa attraverso una istituzione appositamente deputata all’istruzione, come la scuola.
Il suo assunto di base è che, grazie a quello che è stato chiamato, a seconda degli autori e dei contesti, autoapprendimento, apprendimento autodiretto, spontaneo o informale, i bambini possano istruirsi efficacemente da soli, senza pressioni o strutture imposte dall’esterno.
Affidarsi esclusivamente o quasi all’apprendimento informale per l’educazione dei bambini rappresenta una presa di distanza radicale dalle teorie pedagogiche che vanno per la maggiore.
Eppure, la stragrande maggioranza di quello che i bambini imparano durante i loro primi anni di vita, incluse le basi della lettura e della scrittura e del calcolo matematico, viene appreso informalmente, attraverso le interazioni con i genitori e le persone intorno: un “apprendistato culturale”, che per i bimbi unschooler continua a costituire l’ossatura fondamentale del processo di sviluppo cognitivo, intellettuale, relazionale ed emotivo.
Mentre condividono la vita quotidiana con le loro famiglie, i bambini sono naturalmente esposti ai meccanismi della cultura di appartenenza, così come alle abilità e alle dinamiche intellettuali necessarie per operare al suo interno.
La famiglia e l’ambiente circostante forniscono ai bambini una specie di curriculum informale: un contesto fisico e culturale in cui i bambini imparano a muoversi nella società, acquisendo le competenze necessarie a farlo in progressiva autonomia, grazie e durante le esperienze che vivono.
La vita di tutti i giorni offre infinite possibilità di leggere, scrivere, risolvere semplici calcoli matematici, stimare e misurare quantità, distanze, tempi, articolare idee e confrontarsi con la società per comprendere come funziona.
I bambini sono istintivamente motivati ad inserirsi nella vita sociale e culturale che li circonda, vogliono diventare come gli adulti che incontrano ed essere accettati nella comunità di riferimento: il curriculum informale offre loro, nella maniera più diretta, questi stimoli.
Elena Piffero
Altre riflessioni sull’apprendimento in modalità home/unschooler si trovano a questo link.
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