“Voglio tornare a casa”

Nella serie di testi creati in occasione di un laboratorio di scrittura creativa, ecco di seguito quello di Melissa, 14 anni: “Voglio tornare a casa”.

Le parole da usare erano anche per lei: furgone – decollo – iceberg – picchiettare – corpo – vano – pasta – burro.

Melissa ha una grande passione per la scrittura e ha già pubblicato un romanzo, ce ne parlerà prossimamente! Nell’attesa di saperne di più, assaporiamo questa sua realizzazione!

 

“Voglio tornare a casa”

Ero seduta in una delle poche sedie rimaste in casa, ci stavamo per trasferire lontano da qui. I miei erano felicissimi, così come il mio fratellino Michael. Io no, per niente. Non volevo lasciare la città dove ero nata, tutti i miei amici, i luoghi e le persone che conoscevo da sempre. Non ero ancora pronta.

Ci stavamo trasferendo a Nord, per il lavoro di mio padre.

Stavo mangiando la mia ultima pasta, mentre tutti intorno a me caricavano valigie e si assicuravano di aver preso tutto.

– Tesoro, sbrigati a finire quella pasta, dobbiamo andare! – disse, mia madre.

Io non le risposi, anzi, mangiai ancora più lentamente. Non volevo una nuova vita, come continuavano a dirmi i miei. Io volevo questa vita. Il giorno prima eravamo andati a salutare tutti: i miei amici, i nonni, gli zii. Era appena finita la scuola e stava per iniziare l’estate. Non potevo nemmeno passare le vacanze con i miei amici, dovevamo partire subito.

Quando finii di mangiare mi affacciai alla finestra a vidi il furgone che portava via tutta la nostra roba. Mi salì il magone. Prima di andare all’aeroporto saremmo andati nuovamente a salutare i nonni.

Passò qualche ora dove per la maggior parte del tempo avevo pianto. Di solito non mi uscivano mai le lacrime, riuscivo a controllare bene i miei sentimenti, ma quel giorno continuavano a sgorgare. Non me ne accorgevo nemmeno. Non riuscivo a capire come mai i miei e Michael fossero così entusiasti. Anche con i nonni: loro li salutarono quasi frettolosamente, dicendo che saremmo tornati presto, io avevo pianto sulla spalla di mia nonna come una bambina.

Eravamo in aeroporto seduti ad aspettare il nostro volo. Fissavo il vuoto mentre ripercorrevo nella mia mente tutte le cose belle e tutto quello che avevo vissuto qui. Ero nata e cresciuta qui.

Come poteva finire tutto in quel modo? I miei, purtroppo, avevano deciso di partire prima. E io,non posso dire che li odiavo, ma ero profondamente arrabbiata per questo. Dico profondamente perchè quell’emozione era lì, giù, nel profondo del mio corpo, l’avevo spinta per bene in un luogo sicuro. Da quando mi avevano comunicato che ce ne saremmo andati, non avevo più capito nulla, le mie emozioni si erano fermate. Si faceva sentire solo la malinconia, questa forte, fortissima malinconia.

Mio fratello, accanto a me, stava giocando con un aeroplanino regalato dai nonni, prima di partire. Faceva i versi del motore delle moto.

– Maddie? – mi chiese.

– Che c’è? –

– Gli aerei sono come le macchine? –

– No. Sono solo aerei. – Non ero mai stata su un aereo prima di quel giorno, però sapevo per certo che era diverso da una macchina.

– A me sembra uguale. – continuò, lui. – Servono tutti e due per andare dove vogliamo così non usiamo le gambe, non credi? –

– Sì, ci credo. –

– Hanno tutti e due i finestrini e il volante, non credi? –

– Sì, sì, ci credo. –

– Come si dice quando un aereo parte e vola? Si dice solo che parte e vola? –

– Si dice decollare. –

– Oh… allora, decollo! – E fece partire questo aeroplanino.

Beato Michael che non si faceva tutti i problemi che mi facevo io. Lui era felice come i miei, non vedeva l’ora di entrare in aereo, volare per la prima volta e vivere questa nuova vita al Nord, in un mondo nuovo.

– Sorella Maddie? – Da dove gli era uscito, sorella Maddie?

– Dimmi. –

– Tieni. – Mi diede un omino, il comandante dell’aeroplano. Aveva una divisa nera, bianca e azzurra. Mentre l’osservavo, immaginando come sarebbe stato il nostro comandante, mi cadde dalle mani. Ero talmente tanto fuori da questo mondo terreno che non riuscivo nemmeno più a tenere un giocattolo.

– Sorella Maddie! Oggi hai le mani di olio! – disse, Michael raccogliendo da terra il povero comandante, che invece di decollare come il suo aeroplano, era atterrato.

– Si dice di burro, non di olio. – gli dissi.

– E sei anche… egoista. Non mi piaci come compagna di giochi! –

– Non sono egoista, ho solo tanta, troppa malinconia e, vi prego, buttatemi un iceberg addosso così che il mio corpo possa congelarsi e io possa fossilizzarmi qui. –

– Come sei depressa! –

Mi scappò un sorriso: – Dove hai imparato quella parola, Michael? –

– Dai film che guardi tu.

Foto da Pixabay

– Subito dopo riprese a giocare con l’aeroplanino, imitando i versi dei motori delle moto.

 

Finalmente eravamo sull’aereo.

Avevamo aspettato un secolo, il tempo era interminabile e Michael aveva continuato a farmi domande su questo aereo.

Mia madre aveva come minimo chiamato dieci persone e papà aveva fatto un giro dell’aeroporto mangiando il più possibile.

Ero seduta vicino al finestrino, per fortuna, accanto a mio fratello e mio padre. La mamma stava già parlando con la sua vicina.

Michael aveva insistito per stare al mio posto, ma gli avevo detto che era troppo piccolo e doveva stare in mezzo a noi per avere più sicurezza. Volevo io quel posto, tanto sapevo che lui si sarebbe addormentato nel giro di dieci minuti. Non avrei fatto nulla tutto il tempo, quindi era giusto che guardassi io il panorama.

L’aereo era diverso da come me lo aspettavo. Non c’erano quei piccoli tablet per guardare i film e i seggiolini non erano comodissimi. C’era tantissima gente, papà mi aveva detto che stavano partendo per le vacanze. Davanti a me c’era un foglio dove c’era disegnato tutto quello che si poteva fare e non, mio fratello ci stava inventando una storia.

Me lo aspettavo più interessante, con i finestrini più grandi e con le hostess che ti sorridevano parlandoti in lingue diverse.

Ad un certo punto partì una voce, Michael si rizzò in piedi pronto ad ascoltare.

– È il comandante! È il comandante! – urlò.

– Siediti e stai zitto, sennò non capisci quello che dice. – lo zittii. Si sedette, muovendo la gamba destra per l’eccitazione. Tese le orecchie per cercare di ascoltare tutto. Stavano dando i comandi e ripetendo tutte quelle cose noiose del tipo: “Potete fare questo, questo e quest’altro, ma non questo”.

Iniziai a picchiettare le dita sul bracciolo. Mio fratello mi bloccò la mano. – Shhh! Devo sentire la storia! – sussurrò. Ascoltò tutte le indicazioni in tutte le lingue.

Quando finalmente l’hostess si zittì, iniziò a parlare Michael: – Papà? Posso dirti tutto quello che ha detto la signora? –

– Dimmi, Michael. –

Iniziò a ripetere in modo vano e molto fantasioso quello che avevamo ascoltato: – Allora, non ci possiamo buttare giù dalla finestra… –

– E fin qui! – dissi, io.

– Zitta, Maddie! Stavo dicendo: se cadiamo Maddie è fregata. –

– Perfetto! – dissi.

– Dai, mamma! Maddie non mi fa parlare! – Ma la mamma era nel bel mezzo di una

conversazione.

– Maddie, fai finire di parlare Michael. – intervenne, papà.

Michael mi fece la linguaccia. – Dove ero rimasto? Ah, sì, allora… è consigliato dormire. Basta. –

– Bravo, Michael! – esclamò, papà.

– Ora dormo. – disse, tenendo stretto il suo nuovo aeroplanino. Dopo qualche minuto lo sentii russare.

Mio padre si sistemò comodo e fece un sonnellino anche lui. – Lo consiglia mio figlio! – Aveva detto prima di mettersi la mascherina da notte sugli occhi. La mamma leggeva una rivista e parlava con le sue vicine.

Io pensavo, continuavo a pensare. Alla vita che avevo davanti, la vita che non ero pronta a vivere. Pensavo ai miei amici, si sarebbero ricordati d me? E la casa? Papà aveva detto che era un po’ più piccola di quella che avevamo prima. Non avrei avuto una stanza tutta per me, ma dovevo condividerla con mio fratello. I miei l’avevano definita una casa momentanea, quindi poi ci saremmo nuovamente trasferiti. Non sapevo cosa aspettarmi. Volevo tornare indietro, a casa mia, fuori da quell’aereo. La mia mente era annebbiata, come il cielo, piena di nuvole. Non capivo più nulla. E così, dopo tutti quei pensieri, mi addormentai.

 

Melissa, quattordicenne in istruzione parentale

 

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