L’incontro LAIF su “L’istruzione parentale ai tempi della pandemia – quale esame?” di giovedì 16 aprile 2020 si è aperto con una breve riflessione sulla necessità della condivisione, dell’apertura e del dialogo in questo momento storico e con una sintetica presentazione reciproca dei convenuti.

Prendendo le mosse dalle richieste dei partecipanti, Giulia Pecis Cavagna, vicepresidente di LAIF, ha introdotto una riflessione sulla parola “esame” e sull’opportunità di non adattarsi ad un suo uso burocratico. E’ diffusa l’idea che l’”esame” debba essere fatto come siamo abituati: prova scritta in una serie di materie, orale in altre, ecc.

Questa modalità esiste, sì, ma è quella vigente al termine dell’ottavo anno (terza media), perché ci sono gli otto anni di percorso scolastico (primo ciclo), proprio per rispettare i tempi dell’apprendimento. Se diciamo che dobbiamo fare l’”esame”, significa che noi stessi diamo per scontato che si faccia solo in questo modo.

Invece, possiamo portare avanti altri concetti per l’accertamento: il percorso dell’anno, il portfolio, ecc. Quello diventa il lavoro sulla base di cui il DS, i docenti, ecc. possono vigilare.

Dobbiamo fare un lavoro in questa direzione, nel rispetto del dovere della scuola di vigilare e dell’impegno di chi ha fatto una scelta come la nostra. A nostro avviso (di LAIF), è necessario crescere su questo punto, non dare per scontato che ci sia l’esame fatto così.

E cosa succede se alla fine dell’anno non si sono raggiunti gli obiettivi scolastici?

In teoria non può scaturire alcun provvedimento. Raramente è successo che il DS abbia richiesto di avviare la procedura per negare il diritto all’istruzione parentale. In Italia una simile posizione non è sostenibile, quindi facilmente confutabile, ciononostante può comportare un ulteriore lavoro dialettico.

Sull'”obbligatorietà” dell’”esame”.

Da una lettura abbastanza approfondita della normativa e seguendo una linea coerente, l’esame annuale non è dovuto; il supposto obbligo non arriva dopo un percorso logico. La legge è ambigua nella formulazione del Decreto Legislativo 62 del 13 aprile 2017, come era ambigua anche prima. Da ciò deriva che se una posizione diversa viene argomentata e motivata adeguatamente, può essere sostenibile. Diamo un’occhiata al Decreto più da vicino, andando oltre il semplice art. 23.

Riguardo alla frase “le alunne e gli alunni sostengono annualmente l’esame di idoneità per il passaggio alla classe successiva”, si può rilevare che noi non passiamo alla classe successiva, non siamo inseriti in nessuna classe, quindi non siamo né alunni né alunne.

Andando ai principi del Decreto ed alle sue finalità, all’Art. 1 si legge: “La valutazione ha per oggetto il processo formativo e i risultati di apprendimento delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti delle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione e formazione, ha finalità formativa ed educativa e concorre al miglioramento degli apprendimenti e al successo formativo degli stessi, documenta lo sviluppo dell’identità personale e promuove la autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze.
La valutazione riguarda quindi chi è all’interno dell’istituzione scolastica; noi siamo all’interno di un’altra istituzione, che è quella della famiglia.
Inoltre, la valutazione non ha la mera finalità di attribuire dei voti, ma di concorrere al miglioramento degli apprendimenti, ecc.

Conosciamo delle famiglie che, con argomentazioni appropriate, hanno risolto situazioni anche difficili e che hanno alla fine concordato con il DS di non fare l’esame. Anche noi, come famiglia, dal 2017 non abbiamo più sostenuto esami.
Quella di non sostenere l’esame non è la modalità più diffusa, né la posizione maggioritaria. Questo è vero. Però il fatto di non fare l’esame è una possibilità; non è quella più comoda, ma è una possibilità sostenibile. Questo significa che la famiglia debba mettere in conto di affrontare una dialettica, anche tosta, con le istituzioni.

Esame o accertamento?

Non dimentichiamo che il DS ha il dovere d’ufficio di accertarsi che il ragazzo sia impegnato in un percorso di apprendimento. Bisogna proporgli delle modalità di accertamento alternative, grazie a cui lui possa dimostrare a sua volta di aver compiuto il proprio dovere di accertamento.

Il discorso si impernia sul concetto di esame di cui sopra. Da dei professionisti della didattica ci si può aspettare che scaturisca anche una progettualità articolata sull’”esame”. Se l’accertamento deve esser teso a verificare che ci sia un processo di apprendimento in atto, ci sono altre modalità per effettuarlo. In questa fase riteniamo che sia pienamente sostenibile che l’accertamento avvenga tramite l’esibizione di un portfolio: acquisizioni, percorsi, esperienze, studi fatti e materiali realizzati durante il periodo.

Quest’anno in particolar modo, il portfolio può essere sufficiente per mostrare che la famiglia ha fatto il suo dovere. Il portfolio non è estraneo all’istituzione scolastica: viene usato nell’istruzione domiciliare, per i ragazzi che fanno scuola in ospedale, che è pure una situazione di apprendimento al di fuori dell’aula e del gruppo classe.

Sull’annualità dell'”esame”

Quella che va dimostrata ogni anno è l’esistenza di un’attività di apprendimento. Ciò è coerente anche con il nostro percorso ed a garanzia dello stesso. L’accertamento non avviene sui contenuti: tempi e argomenti dell’apprendimento sono personalizzabili, per indicazione del Ministero stesso, che nelle Indicazioni Nazionali per il curricolo (2012) ha espresso solennemente proprio questi concetti. Rifarsi a questo documento significa parlare alle istituzioni usando le loro stesse parole e i loro concetti. Difficile quindi credere che siamo in una posizione illegale. Magari siamo su una posizione che non coincide pienamente con quella di una circolare. Ma non è la stessa cosa che essere nell’illegalità.

C’è una sentenza in merito in Italia, pronunciata nel 2018: la famiglia era stata trascinata in tribunale per non aver fatto sostenere l’esame (ciò conferma che anche prima del 2018 non era assodato che si potesse non fare l’esame). I giudici hanno convenuto che la famiglia non ha compiuto nessun reato perché il fatto non sussiste: l’esame e l’istruzione dei figli sono stati separati, una cosa è non fare l’esame, un’altra cosa non istruire i figli. Siamo d’accordo che questa non è una sede definitiva del dibattito, ma è la sede di un tribunale. Ed è un fatto cui ci si può riferire.

Se pacificamente accettiamo anche quest’anno l’idea che l’”esame” è “obbligatorio”, saremo costretti a fare un certo tipo di istruzione famigliare, che è la scuola a casa: dovremo abbandonare i nostri ideali di libertà, di responsabilità, di personalizzazione, perché quando uno si pone l’obiettivo di sostenere l’esame, dovrà lavorare in funzione di quell’obiettivo. Teniamo presente che l’esame, dal punto di vista psicologico, non è una passeggiata.

Se fai l’esame perché lo scegli, va bene, perché fa parte di una tua progettualità. Se invece ti viene imposto, significa che ti viene imposta una linea: l’esame lo devi fare bene.

Quali sanzioni sono previste?

Se il bambino frequenta la scuola e non viene promosso, io non vengo considerato responsabile. Se il bambino in istruzione parentale non supera l’esame di idoneità, la responsabilità è della famiglia.

Ammonta a 30 € la sanzione nei casi in cui sia dimostrato che non si fa istruzione famigliare. Invece, se non si sostiene l’esame, non sono previste sanzioni.

Ricordiamo che la Costituzione prevede che l’istituzione scolastica intervenga qualora la famiglia non sia in grado di provvedere direttamente all’istruzione della prole. Siamo orgogliosi, come cittadini, che esista questa disposizione. Mettiamoci nell’ottica di un incontro e non di uno scontro. L’Art. 118 della costituzione prevede inoltre l’obbligo per lo Stato di collaborare in spirito di sussidiarietà con i singoli e associati. Il DS è quindi obbligato a trovare una strada di dialogo e di progettualità per sostenere il progetto per procedere in sinergia al fine dell’educazione e dell’istruzione.

Alcune riflessioni conclusive

E’ innaturale e incoerente rispettare il più possibile le inclinazioni di mia figlia e poi per tre giorni all’anno chiederle di distinguere il maiuscolo dal minuscolo in un tempo dato, o di sapere bene le tabelline. Mi pare di insegnarle l’incoerenza.

Se la verifica la facessero su di me, se fossi io ad essere interrogata, ad esempio chiedendomi di mostrare i biglietti del cinema in cui siamo state, o gli ingressi al museo, non avrei nessun problema. Sto cercando di trovare un modo per non farle incontrare insegnanti che potrebbero mortificarla, per non farle subire lo stress di un esame.

Stiamo cercando di trovare delle strade per congiungere.

Andare lontano a fare l’esame, magari a pagamento, è contro il percorso che abbiamo intrapreso.

Resoconto a cura di Nunzia Vezzola

Il video con la registrazione integrale della serata si trova a questo link.

Quale esame? Appunti di una serata

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