Andare a scuola per prepararsi al mondo del lavoro?

lavoro
Foto di Alexa da Pixabay

La scuola si giustifica come preparazione al lavoro?
Un passaggio di un’opera di Bertrand Stern sull’ambiguità del rapporto fra scuola e mondo del lavoro.

 

Non approfondisco in questa sede le conseguenze socio-psicologiche e socio-politiche derivanti dal fatto che i “bambini” imparano precocemente a vedere il presente solo come preparazione ad un possibile successo futuro nella forma di lavoro e consumo, ecc.

Due quesiti critici che ho posto altrove (1) devono però farci drizzare le orecchie:

  • Che dire del fatto che si esagera il rapporto fra l’attività remunerativo – professionale (“lavoro”) e l’esigenza di coprire il fabbisogno per la vita? Studi moderni sull’”economia del tempo” già da tanto mostrano che è più che sufficiente il 14% del tempo medio per la copertura del fabbisogno vitale. Io ottengo però un valore ancora più basso – notare: senza sfiorare la questione dell’importo delle entrate!
    Se infatti ipotizzo un’aspettativa di vita di 75 anni in rapporto ad una possibile vita lavorativa media (40 anni di vita lavorativa a 38 ore di lavoro settimanale, meno le ferie e le vacanze, senza considerare fattori secondari come scuola, università, tempi di percorrenza), ottengo poco meno del 10%, senza contare i tempi di vacanza personali (ad esempio, malattia o periodi di disoccupazione) oppure possibili astensioni o cure ecc.
    In un bilancio del tempo complessivo a livello sociale, questa percentuale risulterebbe ulteriormente diminuita di un po’ e inoltre verrebbero coinvolti fattori come la disoccupazione di massa e i tentativi artificiosi di creazione del lavoro.
    Il tempo dedicato al lavoro in generale si potrebbe ridurre ancora di un fattore importante (il 5% della durata della vita?), se, primo, non fosse sopravvalutato il valore del lavoro (molto carico soprattutto a livello emozionale) in rapporto al tempo reale dedicato al lavoro; secondo, se si mettesse in primo piano la “reale efficacia” dell’attività lavorativa; terzo, se si analizzasse in modo critico la questione etica dell’utilizzo del reddito per il consumo.
    Poiché il lavoro è ben lungi dal rappresentare il primo fattore di tempo nella vita della persona o della società, non è un pochino perverso il fatto di programmare i giovani in sua funzione (del lavoro)?
  • Cosa dire del fatto che il “lavoro” ci sta sfuggendo comunque? E non abbiamo né la possibilità di un suo allargamento né di un suo aumento, né abbiamo lo spazio per i rifiuti che ne derivano dopo il consumo! …

 

(1)
Il mio contributo [dell’autore, Bertrand Stern] “… la loro vita era fatica e lavoro”, pubblicato in R. Kasch, H. Wilde, B. Stern Hg: “Economia, lavoro, ambiente”, Tagungsdokumentation della Fachhochschule di Stralsund, dipartimento di Economia, quaderno 9/1998, pag. 12.

 

Credits:

Foto di Alexa da Pixabay
Bertrand Stern, “Basta scuola! – il diritto umano di formarsi liberamente”, (titolo originale: “Schluß mit Schule! – das Menschenrecht, sich frei zu bilden“), Tologo Verlag, 2016, pag. 40 e segg.
Traduzione dal tedesco di Nunzia Vezzola

Vai alla pagina di Bertrand Stern.

 

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